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Giovanni Pascoli 100 anni dalla morte Giornata Pascoliana Urbinate 12.12.12

Giovanni Pascoli ritratto a Castelvecchio (LU)Era l’11 Novembre 1862 quando Zvanì, il diminutivo con cui Giovanni Pascoli era chiamato dalla madre, dai suoi amici, dai compagni di scuola, varcò per la prima volta il portone del Collegio-convitto Raffaello di Urbino. Vi si fermò per nove anni fino alla prima liceale nel 1871.

Il processo risorgimentale non era ancora pienamente realizzato, l’Italia aveva emesso i primi vagiti, bisognava fare ancora gli italiani e non si poteva certo immaginare che tra coloro che avrebbero contribuito alla costruzione dell’identità culturale e letteraria italiana un posto importante l’avrebbe avuto quel ragazzino romagnolo mite e sfortunato che perse il padre a 12 anni in circostanze oscure e misteriose.

Nei ricordi di Pascoli, Urbino è “il luogo natìo della sua anima”, con la scuola che Giovannino frequentò da bambino, con il convento dei Cappuccini, la Pieve di Cavallino, la sede estiva della Tortorina.

L’occasione di questa Giornata pascoliana urbinate è utile per rammentare, riportare alla mente, ricordare con il cuore, quel bambino che 150 anni fa studiò qui e qui formò il suo primo immaginario “di uomo di lettere e di poeta, la sua disciplina di lettore e interprete dei classici greci e latini, il suo intimo sentimento di fratellanza umana, il suo amore per la giustizia, per la patria e la libertà, che ne orientarono le scelte di tutta la vita.”

Per celebrare questa doppia ricorrenza, il centenario della morte e il 150° dall’arrivo a Urbino, l’Istituto d’Istruzione Superiore Raffaello che di quel Collegio-convitto Raffaello è l’evoluzione storica-istituzionale, presenta due omaggi: uno in forma di recital, l’altro, di prodotto multimediale. Il Laboratorio teatrale della scuola, condotto da Simone Levantesi, ha messo in scena il poemetto più lungo della produzione pascoliana Italy e una selezione di brani tratti da alcune lezioni universitarie, curata dalla Prof.ssa Gioffreda con la sua classe III B. La classe 2 Liceo A coordinata dalla Prof.ssa Merli, ha realizzato un breve filmato ispirato all’ode L’isola dei poeti realizzato da Leda Bartolucci e T. Rossi.

Si è voluto in questo modo dare spazio alla complessità di Pascoli che oltre all’attività poetica fu docente sia nelle scuole superiori che all’Università, latinista, saggista e critico letterario. Con Italy Pascoli si fa poeta civile e politico, generoso e un po’ naïf istigatore di istanze socialiste venate di profonda etica cristiana. Del 1904, Italy è’ una delle prime testimonianze della letteratura italiana sull’emigrazione, dramma economico e sociale che lacerò le famiglie e le comunità produttive della nazione, all’alba del Novecento. Il poemetto fu una risposta all’incipiente mentalità nazionalistica e patriottica di quell’Italia dilaniata dalla diffusa e profonda miseria economica.

Immagine mostra. Le biblioteche del fanciullino - Giovanni Pasco

A Zvanì cantore di una poesia che intendeva come una lampada che migliora e rigenera l’umanità, la sua scuola di Urbino vuole restituire un po’ di quella gioia di quella umanità che egli seppe donare al mondo.

Giuseppe Puntarello ©

H2oro, ITINERARIA

Una produzione della Compagnia teatrale ITINERARIA diretta da Roberto Carusi, Interprete: Fabrizio De Giovanni, Regia: Emiliano Viscardi

Uno spettacolo di teatro-denuncia, un’opera di teatro di derivazione televisiva in cui la forma dello spettacolo diventa un pretesto-contesto per sensibilizzare il pubblico alle tematiche connesse allo sfruttamento della risorsa acqua e per veicolare suggerimenti e comportamenti sullo sfruttamento consapevole dell’acqua. In scena un attore pochi oggetti scenici: un tavolo, una sedia, uno schermo su cui proiettare videoclip, un leggìo, un attore e una voce recitante brani extra-testo.

La forma dello spettacolo ricorda il lavoro di Beppe Grillo.  Il testo messo in scena alterna dati statistici, risultati scientifici, riflessioni morali, e gag intrise di ironia tagliente. Alla freddezza dei dati si aggiungono le trovate comiche e paradossali. Un fiume di notizie di numeri e dichiarazioni deve necessariamente essere trattato con indifferenza sarcastica e con comicità arguta.

Il tipo di recitazione è dunque fondamentale per interpretare un testo così spurio e variegato nella tipologie testuali. Recitazione serrata, rapida sequenza quasi senza pause quando si tratta di fornire dati, lenta e calda quando si devono mettere in rilievo le tirate di riflessione collettiva. Pochi cambi di costume per segnare il passaggio di funzione da attore a presentatore multimediali.

Questi i momenti topici del rituale della comunità: l’illuminazione, la catarsi di fronte all’oggettività dei risultati offerti dalle statistiche orienta e prepara il pubblico ad accogliere le tesi proposte dal testo. Una testo a tesi dunque. L’azione è ridotta all’essenziale e non è mai determinante serve solo a movimentare lo sguardo dello spettatore e tenere desta l’attenzione e solo pochissime volte diventa funzionale allo svolgimento narrativo. L’entrata in scena del secondo attore diventa cesura, pausa introduttiva o di commento alla visione di un videoclip: micro-testo preparato come argomentazione da confutare ai fini della tesi centrale.

Un pastiche di sottogeneri teatrali: il monologo, l’improvvisazione, la declamazione di un manifesto, la schermaglia con il videoclip, la discesa tra il pubblico, la satira, la caricatura. Non ci sono ruoli né personaggi, solo il testo.

Domina dunque il testo ma la forza e l’energia che il testo può suscitare sono mediati dalla sensibilità e dalle capacità dell’attore che deve saper agirlo.

I figli del Capitano Grant, breve scheda

A quarant’anni si può stabilire che termini in modo irreversibile quella fase della vita in cui si crede ancora di essere giovani. Ho deciso quindi di diventare finalmente adulto e per farlo vorrei ri-percorrere la mia giovinezza nel tentativo di ri-assaporare quella gioia della lettura che, come affermava Pier Paolo Pasolini, solo da giovani è possibile provare.

Il mio primo ciclo di lettore di romanzi si aprì con Ventimila leghe sotto i mari e proseguì ricordo nell’estate, del ’78 o del ’79, con L’isola misteriosa. Questi due eccitanti romanzi d’avventure di Jules Verne che hanno come protagonista il mare e il misterioso fascino che l’accompagna, furono dunque per me il primo incontro con i mondi paralleli che solo le storie di fantasia sanno creare.

Nell’opera di Verne questi due romanzi furono preceduti da I figli del capitano Grant che insieme ai titoli precedenti costituisce la trilogia dedicata alle avventure in mare.

Fuori catalogo da moltissimi anni, l’ho inseguito, senza troppi sforzi per la verità, con l’intenzione di completare quindi la lettura di questa trilogia rimasta tronca fino a qualche settimana fa. Avevo deciso di affidarmi al caso e mi sono ripromesso di non cercarlo più in attesa di un magico incontro fortuito avvenuto infine su una bancarella di libri usati. Questa attesa durata trent’anni ha esaltato il piacere della lettura, ma anche sublimato l’azione corruttrice del tempo nel lettore non più giovane che sono diventato frattanto. La malizia forse del lettore esperto, ed anche il confronto nettamente sfavorevole con gli altri due romanzi della trilogia, hanno smorzato le aspettative.

La storia è presto detta. Durante una battuta di pesca, Lord Glenavan giovane e ricco armatore, insieme al suo equipaggio, trova nello stomaco di un pescecane, appena pescato, una bottiglia che celava al suo interno un messaggio reso parzialmente illeggibile dalla corrosione dell’acqua. La decifrazione del messaggio avvia il motore che darà vita all’azione del romanzo. L’interpretazione su cui tutti convengono porta alla conclusione che si tratti dell’ultima disperata richiesta di aiuto da parte del capitano Grant e del suo equipaggio che è naufragato da qualche parte lungo il 37° parallelo. Animato da spirito filantropico e spinto anche dalla caritatevole moglie, Lord Glenavan si prodiga ad organizzare un bastimento che si mette alla ricerca dei naufraghi, non senza aver caricato a bordo i giovanissimi figli del capitano che ormai avevano perso ogni speranza. All’imbarco per la spedizione, si aggiunge, per un fatidico errore, un personaggio simpatico e singolare, il geografo Paganel. Poi un susseguirsi di avventure, prima in Patagonia e poi nelle coste selvagge dell’ Australia.

Come per gli altri romanzi di Verne, la lettura è scorrevolissima e piacevole per la sua atmosfera avventurosa, densa di colpi di scena e ricca di nobili sentimenti. Fa tenerezza poi il piacere che prova il narratore a condurre il lettore in luoghi esotici e misteriosi. L’azione è rapidissima, forse troppo e in questo rintraccio uno dei punti deboli che lo fanno sfigurare nel confronto con gli altri due romanzi della trilogia.

“La gioia che si prova a leggere quando si è ragazzi non la si prova mai più nella vita” scriveva Pier Paolo Pasolini, eppure rievocare questa gioia, anche se per poco, si può. Io ci sono riuscito grazie a questo romanzo, a questo autore immortale che ha sempre nutrito il piacere di raccontare storie che hanno acceso la fantasia dei giovani lettori.

Un libro può funzionare da interruttore, può riaccendere, ricordi e sensazioni fanciullesche, può riconnetterci con il nostro intimo vissuto, può rammentarci la gioia della lettura.