Archivi categoria: Palermo e ciò che resta

Piazza del voto

Si chiamava “Piazza del voto”. Molti dei palermitani over 35 dovrebbero ricordarla senza difficoltà. Era una sorta di esedra, piccola, di un centinaio di metri quadri rivestita di marmo bianco e grigio e circondata nel suo perimetro da una serie di statue di santi, al centro delle quali, se non ricordo male, campeggiava la Madonna. In relazione allo spazio circostante, erano piccole e insignificanti. Vi si accedeva per una scalinata anch’essa in marmo e forse eccessivamente sovradimensionata. Tutto intorno era il nulla indiscriminato riempito di giostre e di bancarelle di zucchero filato e di cubaita. Il mare non si vedeva e le baracche e le roulottes di servizio delle giostre formavano una cortina che ne impediva non solo lo sguardo ma anche l’accesso. Si trovava più o meno al centro del terrapieno che oggi è il prato del Foro Italico. È riemersa, tra i ricordi della mia infanzia, durante un pomeriggio passato tra totem e panchine in ceramica smaltata, duxsuasori, palloncini e asiatici che vendono aquiloni e bolle di sapone. Rammento distintamente la repulsione che quel luogo mi creava ma non lo si poteva nemmeno definire un luogo chè non possedeva alcuna caratteristica che so di funzionalità, di accoglienza o di invito alla pura contemplazione. Non una panchina, solo lo schifo dei residui di “calia e simienza”, e l’indifferenza di chi portava i bambini per distrarli dalla noia della domenica pomeriggio. Era si potrebbe dire la quintessenza del non-luogo. La storia di questo scempio architettonico è ovviamente tutta palermitana. La sistemazione della villa a mare era nei progetti dell’amministrazione comunale dalla fine della guerra, quando la passeggiata a mare, che per tre secoli fu il salotto di rappresentanza della città, mutò profondamente la sua spazialità a causa del riempimento di questo tratto di costa con i detriti prodotti dalle macerie dei bombardamenti. Un infruttuoso tentativo di lanciare un concorso internazionale di architettura fu all’origine della scelta di individuare sempre attraverso un concorso i “pregevolissimi autori locali” delle sculture. Ma ci sarà stato anche un progettista? Certamente e probabilmente curiale anch’egli, come l’idea della piazza, del voto poi, le sante, i marmi e il nulla. Ma adesso che ne ho scritto mi vergogno un po’ di averla rievocata. La damnatio memoriae purtroppo non si potrà consumare perché le statue, tutte, sopravvivono, separatamente, disseminate tra le chiese della periferia.

La Philip Morris e il Festival sul Novecento di Palermo

La Philip Morris è la più grande multinazionale del tabacco esistente al mondo. E’ anche, in questi mesi, sponsor ufficiale del Festival di Palermo sul Novecento, giunto ormai alla sua quarta edizione e ritenuto ormai dall’amministrazione comunale “fiore all’occhiello” della politica culturale di questa città. Per questo “fiore” si spendono ogni anno svariati miliardi: è la più costosa manifestazione culturale che questa città abbia mai comprato. Il rapporto costi benefici è però nettamente a favore dei costi e dell’occhiello privato di chi organizza. Quest’anno, ridotta la spesa per la programmazione culturale generale (si pensi al bistrattamento di Palermo di scena), si sono dovute fare molte rinunce. Ma al Festival sul Novecento non è toccata questa sorte. Anzi. Gli organizzatori del festival non soddisfatti hanno pensato bene di procacciarsi un grosso sponsor e….tirare qualche boccata di ossigeno alla nicotina. I matrimoni di interesse sembravano non essere più alla moda. E invece a volte ritornano. Infatti il Festival di Palermo sul Novecento ha scelto la Philip Morris e viceversa. Ma oltre che un matrimonio di interesse questo sembra proprio una sporca questione di profitti e di scarsa sensibilità etica. La reciprocità anche in questo caso è d’obbligo. Bisognerebbe aggiungere anche la responsabilità dell’officiante: il Comune di Palermo.

La Philip Morris da qualche anno sceglie di sponsorizzare manifestazioni culturali di alto livello perché ha bisogno di rifarsi il “look” si direbbe in gergo. Solo apparentemente questa sarebbe una giustificazione. La realtà è che, da quando si sono accorti che nel mondo occidentale perdevano circa 400.000 clienti al giorno, stanno tentando di darsi da fare in tutti i modi per riguadagnare mercato. La legge italiana proibisce la pubblicità diretta per le sigarette e perciò le sponsorizzazioni risultano essere tra le forme indirette le più efficaci soprattutto se capillari.

Le vicende legali, etiche, e commerciali in cui si trova coinvolta, ormai da qualche anno, la numero uno del tabacco mondiale, hanno ridotto a pezzi l’immagine, la credibilità e i profitti. Basti pensare che soltanto dal giugno del 1997 la Philip Morris ha ammesso pubblicamente, in sede di contrattazione legale, la nocività del fumo per la salute.

Da allora quando ha raggiunto l’accordo con quaranta stati americani, paga una somma pari a circa 100 miliardi di dollari l’anno di risarcimento sui costi per le terapie dei danni provocati dal fumo. Questo il prezzo da pagare, che non è alto se da un lato si pensa che ha assicurato la propria stabilità sul mercato, e dall’altro lo si confronta con i profitti dell’azienda: 50 miliardi di dollari l’anno con il tabacco che costituisce solo i 3/10 del fatturato complessivo dell’azienda che controlla anche alcune delle più grandi industrie alimentari del mondo.

Ma non è tutto: diecimila miliardi di tasse non pagate dal 1987. Sarebbe questo l’ammontare, appurato dal Tribunale di Napoli, dell’evasione della Philip Morris ai danni del fisco italiano.

Altre pesantissime accuse furono lanciate nel 1995 da un senatore americano. La compagnia produttrice di tabacco avrebbe finanziato varie ricerche sugli adolescenti e sulle sostanze che aumentano la dipendenza dall’uso di sigarette. La più grande compagnia di tabacco del mondo, avrebbe “spiato” il comportamento di alcuni studenti della Virginia per capire quali fossero le chanches di indurli a diventare suoi “clienti”. Addirittura avrebbero condotto esperimenti con stimolazioni cerebrali su pre-adolescenti per potenziare il condizionamento da tabacco.

Insomma la Philip Morris non ha come si dice una dote etica pulita per farla sposare con l’arte e la cultura. Il Comune, l’assessore, il direttore artistico, il Festival non hanno dimostrato alcuna sensibilità nella scelta del partner economico. Questo sponsor garantisce solo il vizio, l’abitudine letale al consumo, alla dipendenza da nicotina.

Ma come dice un vecchio adagio i lupi perdono il pelo ma non i vizi.

di Giuseppe Puntarello

Alcune notizie sullo Spasimo di Palermo

Lo Spasimo di Sicilia è l’unico quadro di Raffaello che la Sicilia abbia mai posseduto e rappresenta La caduta di Cristo sul cammino del Calvario o meglio lo sgomento della Vergine che assiste al martirio del figlio, per questo fu detto lo Spasimo del mondo.

Stando alle cronache incerte e avvolte nel mistero, la tela ha una singolarissima storia. Il dipinto, commissionato all’Urbinate dal Giureconsulto Girolamo Basilicò in occasione della costruzione dell’omonima chiesa nel 1506, dopo un naufragio subito dalla nave che lo trasportava, trovò dimora nel 1520 in uno degli altari della Chiesa della Kalsa che prese proprio il nome dal quadro. Poco più di un secolo dopo fu donato o meglio svenduto da un prelato a caccia di prebende a Filippo IV re di Spagna per l’Alcazar di Madrid.

Ancora oggi nella zona di corso dei Mille esiste tra i vecchi un antico detto popolare che allude forse alla vicenda della donazione: U parrino ci fici u paccu o Re. Esistono varie copie del quadro di Raffaello una delle quali si trovava in una chiesetta della zona. Che quella del Prado sia una copia di un originale trasportato su tavola e di cui non si ha più notizie? A questo misterioso e leggendario interrogativo non si può rispondere. Chi vuole, oggi lo può ammirare al Prado di Madrid o se si accontenta delle innumerevoli copie in alcune chiese di Ciminna, Sciacca, Caccamo, Baucina.