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Un mio articolo su Non ricordo, Aras Edizioni

Un mio articolo dal titolo

L’AUTOBIOGRAFIA TRA AMNESIE,
MENZOGNE E LIBERTÀ: LA VERSIONE DI BARNEY
DI MORDECAI RICHLER

si trova in questo volume uscito a Novembre 2020 per i tipi di ARAS Edizioni di Fano.

Per leggere l’indice e la prefazione cliccare sul PDF

La perdita di memoria, l’amnesia, la rimozione sono di fatto alcuni degli espedienti più intriganti della narrativa d’indagine, del thriller, del noir. Spesso le tensioni dei personaggi si giocano non solo sulla scena del crimine, ma anche successivamente nel chiuso di una stanza dove un indagato, o un testimone, deve affrontare un lasso di tempo di cui non si ricorda o di cui non vuole ricordare nulla. Il tema del vuoto di memoria – nelle sue varie espressioni, dall’amnesia alla rimozione alla patologia vera e propria – può legarsi a sintomi da sindrome post-traumatica, ma può anche configurarsi come una strategia – più o meno consapevole, più o meno elaborata – di sopravvivenza o d’inganno. Sono molti gli scrittori e i registi che si sono cimentati con queste tematiche. Attraverso una selezione di casi, da Alfred Hitchcock ad Agata Christie, dallo smemorato di Collegno di Sciascia a La versione di Barney di Richler, e altri ancora, si offre una panoramica sufficientemente ampia per analizzare il fenomeno.


“Ognuno di noi ha un’ombra. Meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo, tanto più è nera e densa.” Carl Gustav Jung

Commemorazione sede CGIL di Ventimiglia

Questa giornata e questa commemorazione rappresentano per me, per noi come famiglia, un onore. 

Ricordare Peppino Puntarello come un uomo giusto costretto a lasciare prematuramente la moglie con 5 figli in condizioni materiali difficili significa tornare a quel triste 4 Dicembre di 71 anni fa che ha cambiato la storia di un’intera famiglia e delle sue successive generazioni. Famiglia segnata dal dolore e dal lavoro, come tante. Nessuno dei nipoti ha potuto conoscerlo quel nonno “ucciso per errore di persona” come per molti anni è stato sostenuto. 

Poi è bastato mettere insieme quella sequenza ininterrotta di 40 sindacalisti che tra il 1944 e il 1948 furono uccisi silenziosamente. Il delitto mafioso però deve essere letto all’interno di quel flusso della Storia in cui è maturato. Solo la distanza temporale ha permesso una lettura univoca di quei tragici eventi che paiono ubbidire ad una strategia unitaria, che vedeva soprattutto in Sicilia, l’opposizione dei latifondisti e dei loro campieri mafiosi, all’applicazione dei Decreti Gullo concepiti per migliorare la produttività e la redistribuzione del latifondo e delle terre incolte. 

Questo riconoscimento, oggi, permette di restituire dignità alla memoria di un uomo sempre schierato dalla parte dei deboli, ma soprattutto ad una comunità che ha saputo mantenere la giusta distanza dalla collusione mafiosa.

Quel delitto, allora, mobilitò prima di tutto la solidarietà dei paesani di Ventimiglia che hanno sempre ricordato Peppino Puntarello come una persona perbene sempre disponibile ad aiutare chi aveva bisogno. Quella solidarietà che ha permesso la sopravvivenza di una famiglia orfana di un reddito oltre che del capofamiglia. Oggi quel delitto, insieme a molti altri, ha mobilitato la coscienza civile delle forze sociali che da anni sono impegnate a fabbricare la memoria collettiva di una comunità che ha le medesime radici. Penso all’attività del Centro Studi della CGIL, penso all’impegno di Don Ciotti e di Libera, penso alla forza di uomini e donne delle istituzioni che con il loro esempio nel lavoro hanno sacrificato la loro vita e indicato la via per una società del lavoro pacifica e civile.

Adesso bisogna raccogliere il testimone della custodia di una memoria condivisa, quella che costruisce sogni e impedisce l’avanzare degli egoismi, che metta davanti il bene comune e lasci indietro la corruzione e l’interesse particolare. 

Voglio ringraziare i compaesani, molti dei quali non ci sono più, che in quegli anni difficili hanno permesso di mantenere una rete di solidarietà e di affetto attorno alla nonna Vincenza Samperi, ringrazio il sindaco Antonio Rini, la CGIL di Palermo attraverso Dino Paternostro ed Enzo Campo, la sezione di Ventimiglia attraverso Gino Anzalone, e tutti i presenti che rendono viva una comunità di partecipazione democratica ed egualitaria. 

Giuseppe Puntarello

Terraferma, il miraggio della speranza

L’ultimo film di Emanuele Crialese, recentemente premiato al Festival del cinema di Venezia con lo speciale riconoscimento della giuria, parla del miraggio vissuto quotidianamente da centinaia di migranti in cerca di una vita migliore in una terra migliore di quella che consapevolmente lasciano. Il miraggio è quel fenomeno ottico che si crea in particolari condizioni di luminosità in alcuni ambienti. La metafora mi sembra funzionare abbastanza bene per sintetizzare l’illusione di uomini e donne che si lasciano guidare dalla speranza di un futuro che nelle loro patrie forse è impossibile immaginare.

Il film autenticamente ispirato da sentimenti di umanità e solidarietà che in quest’epoca sembrano essere in via di dissolvimento, ci mostra l’odissea di uomini, donne, comunità che sebbene si trovino su sponde diverse del mediterraneo sono accomunate dal senso di appartenenza alla vita, dal bisogno di mobilità in territori più vasti di quelli natii, dal bisogno di lavorare, in una parola di sopravvivere dignitosamente.

Linosa, una delle più remote isole dalla terrafema continentale, metafora di un’Europa oggetto del desiderio di una speranza di vita, è solo uno scoglio lontano quasi quanto i paesi di origine dei migranti. Non più Africa non ancora Europa. La meravigliosa isola vulcanica, è una specie di antipurgatorio dove i dannati si trovano casualmente ad approdare. Protagonista, suo malgrado, nel bene e nel male, l’isola, luogo di transizione, è il luogo dove si materializzano le contraddizioni nazionali, dove si infrangono le speranze dei migranti.

Giuseppe Puntarello (©)