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Crisi e trasformazione, il futuro come un abisso

Pubblicato con tagli

su Il Mediterraneo del 8 Dic. 1996

La difficile fase di trasformazione sociale, economica e politica che la nostra epoca sta attraversando, la crisi generalizzata dei luoghi della produzione di socialità, gli spazi disponibili per la formazione di nuove soggettività politiche in grado di creare forme alternative di lavoro, fuori dall’assistenzialismo, fuori dai mercati. Questi i nodi teorici che si vogliono affrontare in un ciclo di seminari organizzati dall’Associazione Culturale I Draghi Locopei, dal titolo Crisi del futuro e politiche della transizione. Al primo di questi incontri sono stati invitati due dei maggiori teorici e sostenitori del cosiddetto Terzo settore, Marco Revelli e Aldo Bonomi. Docente all’Università di Torino il primo, consulente del C.N.E.L. e direttore dell’Istituto di ricerca sociale Aaster di Milano il secondo.

Come a riattraversare simbolicamente i luoghi della trasformazione e della produzione, questo primo incontro si è tenuto agli ex capannoni delle fabbriche Ducrot, oggi Cantieri Culturali della Zisa. La discussione ha preso avvio dagli interrogativi che l’attuale fase critica di transizione mette in campo: a quali esiti possibili va incontro la nostra società a seguito dei processi di mondializzazione dell’economia, di fine del Welfare State ? E’ possibile costruire nuove forme di convivenza sociale ? Rimettere in gioco attraverso le pratiche quotidiane quei nessi tra politica ed etica ormai marginalizzati dal flusso della comunicazione di massa?

Dalla lucida analisi socio-economica della produzione postfordista fatta da Revelli, lo scenario emergente non è certo rassicurante. Riprendendo da Le due destre, il suo ultimo libro pubblicato da Boringhieri, i dati e le analisi teoriche Revelli disegna una società che ha talmente centralizzato le ragioni dell’economia da subordinare qualsiasi opzione etica alle leggi e ai meccanismi spietati del mercato. Al modello fordista, la storica concezione della fabbrica nella quale ogni fase produttiva era organizzata secondo i modelli della concentrazione territoriale, della catena di montaggio, del controllo del ciclo economico da parte dello stato, si è sostituto gradualmente un modello economico e di produzione che si è dovuto adeguare ai mutamenti prodotti da quella che si può definire la terza Rivoluzione Industriale: l’informatica, la telematica e i trasporti hanno unificato il pianeta e quindi l’economia. Eccoci allora entrati in piena era postfordista. I prodotti fordisti erano incompatibili con l’universalizzazione, ora i livelli di consumo sono limitati geograficamente. Si riducono gli spazi produttivi e gli uomini che intervengono nel processo di produzione, si tende ad eliminare le sacche di inefficienza. Si delocalizzano gli impianti di produzione.

Ma i risultati sotto gli occhi di tutti sono: disoccupazione strutturale, crescita di lavoratori poveri. E’ mutato anche il rapporto con il lavoro: precarietà, flessibilità, lavoro interinale, in affitto, servile, deregolato. Di più: i processi di sviluppo funzionano come aspiratori di socialità che non restituiscono al territorio. Non c’è solidarietà territoriale. La competizione sociale distrugge il legame sociale, le relazioni. Su questo punto si innesta il lungo e problematico intervento di Bonomi, conoscitore profondo delle politiche del lavoro e delle sue anomalie siciliane. Autore, anch’egli per Boringhieri, di un libro di recente pubblicazione, Il trionfo della moltitudine, nel quale si analizzano le forme e i conflitti della società che viene. Passati in dettaglio i passaggi dell’analisi di Revelli, Bonomi sostiene che “ciò che è in crisi in questo momento è il venir meno dei luoghi di formazione della cultura che produceva relazione.” Vale a dire, “i luoghi del racconto dove si metabolizzavano i processi di cambiamento, dove il discorso si rende socialmente condiviso.” Da qui la necessità di produrre socialità come condizione di mantenimento di relazioni civili e convivenza democratica. Sostenere il volontariato, l’associazionismo, l’economia solidale. Elaborare nuove forme di relazione non sottoposte alla mercificazione dell’economia. Riprodurre socialità, legami sociali.

di Giuseppe Puntarello