Sciascia dieci anni dopo la morte

di Giuseppe Puntarello

In questi giorni, a dieci anni dalla morte, la pubblicazione in Francia delle Oeuvres completes di Leonardo Sciascia, curata dall’italianista Mario Fusco per l’editore Fayard, è un evento editoriale destinato a riaccendere il dibattito critico e culturale sull’esperienza letteraria e intellettuale del maestro di Regalpetra. Il tributo che la cultura francese assegna a Leonardo Sciascia con questo riconoscimento non è una novità. Il rapporto che intrattenne con la Francia e la cultura francese fu intenso, uno scambio potrebbe definirsi osmotico. Hugo, Diderot, Courier, Stendhal, le sue prime letture, contribuirono a creare in lui il mito della Francia, frequentò Parigi abbastanza regolarmente nella seconda metà degli anni settanta e i più importanti periodici francesi lo cercavano per intervistarlo. Ma è già dagli anni sessanta che vengono tradotti sistematicamente i suoi libri. Il curatore della sua opera omnia in Italia è il francese Claude Ambroise, e Marcelle Padovani ha certamente contribuito a divulgare il pensiero e il lavoro di uno dei due (l’altro è Pasolini) scrittori più engagés della letteratura italiana del dopoguerra.

“Si sa che in Francia è frequente l’aggregazione di lettori particolarmente fedeli intorno al nome di certi scrittori: associazioni che si dicono di amici: Amici di France, Amici di Giraudoux, Amici di Buzzati (e credo Buzzati sia uno dei pochi scrittori stranieri a godere in Francia di una cerchia di amici); associazioni che, con quelle degli Amici del Libro, cui si debbono felicissimi incontri tra opere letterarie e artisti che le illustrano, sono segni di una civiltà intellettuale a noi quasi ignota.”

In questo brano del 1983, si intuisce il tono amarezza dello scrittore di Racalmuto nel dover riconoscere ai circoli d’oltralpe una cultura della lettura sconosciuta dalle nostre parti. È quasi un presagio, forse intuiva che la sua fortuna critica sarebbe arrivata, senza troppe resistenze, in terra straniera piuttosto che in Italia.

Già, perché il dibattito della critica italiana sulla grandezza dello scrittore siciliano non si è ancora assopito e l’occasione del decennale dalla morte ha moltiplicato gli incontri, gli studi, i convegni.

Fu lo stesso Sciascia a definire “sfortuna critica” quelle controverse opinioni che circondavano la sua opera nel giudizio dei critici.

Ha radici lontane l’idiosincrasia di certa critica — non solo letteraria — di sinistra perlopiù, ma non solo, per l’opera e per l’uomo pubblico Sciascia. Le polemiche politiche hanno inizio con l’uscita de Il contesto, nel 1971 un breve giallo, definito esplicitamente come “parodia”, su una serie misteriosa di assassini di giudici che presagirono in qualche senso “gli anni di piombo” e la “strategia della tensione”; gli articoli usciti su L’unità e sugli altri giornali sono la testimonianza di un clima ideologico dominante. Duri attacchi giunsero anche dal mondo cattolico all’apparizione nel 1974 di Todo modo, romanzo in cui emergono evidenti i riferimenti alle connivenze del governo con le oscure trame del sistema di potere democristiano. Il suo rapporto aspro con il partito comunista, nelle liste del quale venne eletto consigliere comunale a Palermo nel giugno del 1975, le susseguenti dimissioni 19 mesi dopo per la delusione derivata dall’inefficienza dell’azione politico-burocratica, le polemiche infuocate intorno al caso Moro e alla pubblicazione de L’affaire sono diventati momenti salienti non solo dell’esperienza intellettuale di Sciascia ma anche della storia civile e politica dell’Italia. Ancora freschi nella memoria rimangono i duri interventi di Scalfari su Repubblica contro l’autenticità delle lettere del leader democristiano.

Ed ancora oggi si legge una recensione di Angelo Guglielmi su l’ultima ristampa de La strega e il capitano pubblicata su L’Espresso del 6 Gennaio che accusa Sciascia di essere uno scrittore “debole di suggestione” e privo di “modi espressivi originali” e di “scrittura propria”. Evidentemente Guglielmi non tiene conto del fatto che la riscrittura è la pratica costante di Sciascia. Si legge nell’intervista curata da Claude Ambroise: “Non è più possibile scrivere: si riscrive. Del riscrivere io ho fatto, per così dire, la mia poetica.”

Lo scrittore più coinvolto dalla lettura della cronaca è stato scomodo per molti “ma soprattutto per il potere se è comunista.” Così fa parlare un democristiano nel Contesto: “Il mio partito, che malgoverna da trent’anni, ha avuto l’intuizione di malgovernare meglio con il Partito rivoluzionario internazionale.” Ancor peggio nel Candido, riscrittura del celebre romanzo di Voltaire, Sciascia descrive un PCI ignorante, intriso di stalinismo, senza intelligenza e senza cuore.

Scrive Giulio Ferroni: “Le scelte polemiche di Sciascia si sono sempre fondate su una razionalità “laica” lontana dalle semplificazioni tattiche consuete nella vita politica. L’aspirazione a vedere la realtà con il più lucido rigore razionale, a cercare una vita sociale libera dalla violenza e dall’inganno, lo ha portato a mettere in luce tutta la carica negativa di quelle forme di potere che fanno leva su intrecci perversi, che rendono cieca e inafferrabile la stessa ragione”.

Ancora un’affermazione sul laicismo radicale e sui principi libertari che animano il pensiero del recalmutese: «Va bene l’intellettuale impegnato, ma a patto che si impegni sempre contro il principe, contro il potere contro le chiese a cominciare dalla propria».

A caratterizzare in modo forte il lavoro di Sciascia è l’intrecciarsi di impegno narrativo, civile e politico sempre teso ad esercitare la ragione e la verità. Da qui la sua predilezione per le forme ibride del romanzo-saggio, per le inchieste documentarie, per la cronaca.

È nella prospettiva della ricerca della verità e della giustizia che va inquadrata la parte pregnante della sua opera. Salvatore Battaglia, uno dei più importanti storici della letteratura italiana, già nel 1969 intuì l’opera di Sciascia costruita al di là e al di sopra della letterarietà. La tensione motivante alla volontà di scrittura ha senz’altro radici nella letteratura, nella lettura, nel culto per i libri e gli oggetti della scrittura, ma tutto ciò sembra divenire un pretesto perché, si legge nell’intervista di Claude Ambroise, “tutto è legato, al problema della giustizia: in cui si involge quello della libertà, della dignità umana, del rispetto tra uomo e uomo.”