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La tecnologia dello sguardo

Se l’uomo a volte non chiudesse sovranamente gli occhi, finirebbe per non vedere più quel che vale la pena di esser guardato.

René Char, Feuillets d’Hypnos

Introduzione

Gli organi della visione sono stati quelli che più di ogni altro, tra gli organi umani, hanno permesso all’umanità di addomesticare la natura, di codificare e decodificare il mondo circostante, di identificare e analizzare forme, di seguire un oggetto in movimento nello spazio, di selezionare porzioni di vedute.

La capacità di creare successivamente mappe, immagini, simboli, idoli, icone, con l’ausilio della tecnologia ne ha fatto un produttore di significanti e ha innescato i processi cultuali generando così l’ inarrestabile evoluzione culturale e antropologica. La dimensione spirituale legata indissolubilmente alla morte e la pulsione scopica di possedere ciò che non è più sono alla base dello sviluppo di una cultura immaginifica.

Non dimentichiamo che uno dei presupposti dell’immagine è la conservazione della memoria dei defunti, le imagines per i latini sono i calchi di cera che si prendeva dei defunti. Dalla maschera di cera, che veniva esposta nel larario e portata in altre occasioni ai funerali dei parenti, al cinematografo corrono venticinque secoli. In una lunghissima concatenazione irreversibile il processo di trasformazione dei modi di produzione delle immagini è passato attraverso lo sviluppo tecnologico che si è intrecciato intimamente con, le ambizioni scientifiche, la dimensione ludica, i processi psichici dell’umanità. Si potrebbe dunque sostenere che alla radice di tutti questi elementi si situa la nozione di sguardo. Lo sguardo è la cellula primigenia che ha aggregato tutti i presupposti scientifici, artistici, culturali che hanno permesso al cinema di diventare uno dei pilastri dell’arte del XX secolo, oppure utilizzando una formula felice di Francesco Casetti, ‘l’occhio del Novecento’.

La ricerca qui di seguito esposta intende, in modo parziale, interrogare la nozione di sguardo e come essa è stata concepita e indagata nel secolo in cui il cinema ha dominato i significanti culturali del sapere occidentale. La ricerca parte dal presupposto che la produzione di immagini e la ricerca analitica sui significati dello sguardo, in una ciclicità ricorsiva in cui non è possibile individuare ciò che precede e ciò che consegue, originano sapere. Certo un sapere teorico. Un sapere generato dalle visioni delle immagini del cinema che agisce dalla superficie al profondo della psiche, che orienta e ri-guarda le mappe interiori dei significanti, che ci fa conoscere e ri-conoscere l’uomo nella sua complessità. Nel 1967 Arnheim scrisse ne Il pensiero visivo  “pensare esige immagini” e “le immagini contengono pensiero.” Sergei Ejzenstein attraverso il suo “montaggio delle attrazioni” si proponeva di arrivare al “concetto tradotto in immagine”, operazione che gli fece sperare di riuscire a portare sullo schermo addirittura Il Capitale di Karl Marx. C’è nel concetto stesso un rapporto con l’immagine, e nell’immagine un rapporto con il concetto.

Si è scelto di convocare i filosofi non certo per una presunta superiorità scientifica o teoretica nell’indagine dei fenomeni umani, ma per la loro obiettiva alterità rispetto agli autori e ai teorici del cinema. Curiosamente si sono inseriti nel dibattito teorico sul cinema tardivamente, come se avessero voluto attendere, la stratificazione degli eventi o la molteplicità dei risultati che via via si toccavano. Inoltre l’oggetto delle loro riflessioni si è sovrapposto, nell’epoca in cui il cinema entrava prepotentemente nell’immaginario collettivo, alle emergenze che le opere stesse producevano: la narrazione, la soggettività, il tempo, le strutture significanti. 

L’altra sponda toccata dalla nostra interrogazione è l’immaginario. Su questo fronte il discorso si configura più controverso nel dibattito filosofico eppure è continuamente evocato nonostante risulti come qualcosa di difficilmente definibile. Si vorrebbe così cogliere dettagliatamente l’articolazione intimamente ramificata con i contorni del significante che segna l’inconscio. Obiettivo questo incessantemente sfiorato perchè inafferrabile a causa della sua complessità. Inoltre si è inteso, come direbbe Regis Debray, considerare oggetto della ricerca “i codici invisibili del visibile”. 

Il cinema potrebbe essere considerato come un’evoluzione del sogno, come luogo del desiderio di integrare in uno spazio altro, altre vite, altre esperienze, altri sguardi.

Per ciò che riguarda il metodo, abbiamo considerato l’inevitabile eterodossia e l’eterogeneità degli apporti, un limite positivo ritenendo così di mostrare che le diverse sfaccettature dell’oggetto di questa ricerca si configurano come un caleidoscopio di significanti sempre in continua evoluzione. Come d’altronde il cinema è. Si è tenuto conto dei contributi della filosofia esistenzialista, di quella fenomenologica, delle teorie psicanalitiche, della semiotica.

Quale autorevolezza avrebbe la teoria? Per rispondere con Casetti “nessuna solo di contribuire alla rete dei discorsi e di costituire delle glosse” 

A tentare di esplicitare meglio il senso del titolo si offrono di seguito le definizioni di tecnologia e di sguardo come le troviamo su alcuni dei maggiori strumenti di consultazione attualmente disponibili. La spiegazione diventa doverosa quando possono sorgere delle ambiguità dovute alle pratiche nell’uso dei parlanti e i significanti cristallizzano i loro significati. Perciò quando parliamo di tecnologia è comunemente inteso un significato legato a qualcosa di “duro”, pensiamo cioè all’equivalente inglese hardware, agli utensili a degli oggetti d’uso. È ovvio si è voluto intenzionalmente giocare con quest’ambiguità visto che nel processo produttivo del cinema si ha a che fare con le macchine da presa, le ottiche e tutto l’apparato tecnico necessario. Ma non può esistere hardware senza software. Si è voluto comunque richiamare con l’uso del termine “tecnologia”, la nozione foucaultiana che evoca gli universi discorsivi applicati alle pratiche del sapere e del potere, che tanta fortuna ha avuto nel linguaggio scientifico e filosofico.

La definizione di tecnologia che troviamo nel Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia riporta: “Lo studio applicativo delle scienze e delle tecniche; il complesso delle nozioni, degli strumenti e delle attrezzature proprie di un dato settore”.

Quella che troviamo in The Oxford English Dictionary, II edition, (1989): “A discourse or treatise on an art or arts; the scientific study of the practical or industrial arts. E come secondo significato: “The terminology of a particular art or subject”.

Ne Le grand Robert de la langue française troviamo: “Ensemble de termes technicque propres à un domaine”.

Se volessimo interrogare i maggiori dizionari d’uso, quelli lessicali e quelli etimologici della lingua italiana per conoscere il significato del termine ‘sguardo’ scopriremmo una certa omogeneità. Per scoprire l’etimo dobbiamo rivolgerci al Grande dizionario dell’uso di Tullio De Mauro: sguardo sostantivo maschile di uso fondamentale, [1metà del XIII sec.; der. di sguardare] 1 il volgere gli occhi verso qualcosa o qualcuno, spec. esprimendo uno stato d’animo o un sentimento 2 espressione del volto che rivela un sentimento, uno stato d’animo; modo di guardare 3 capacità visiva. 

Il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia riporta un numero maggiore di significati e qui utilizzeremo solo quelli che non sono stati già menzionati in precedenza e quelli che in modo più pertinente servono ad illustrare il campo semantico che interessa maggiormente la nostra ricerca. A quelli si aggiungano dunque:

“Sguardo, sm.[…] 4 Visione di un fatto, spettacolo che si presenta alla vista.[…] 6 Attenzione, considerazione, riflessione. 7 Interessamento, disposizione benevola nei confronti di qualcuno. 8 Capacità di conoscere e di valutare. 9 Modo peculiare di rappresentazione della realtà visiva di un pittore, di un regista cinematografico o di un fotografo.10 Fisiol. Complesso funzionale e motorio che deriva dalla coordinazione e dalla cooperazione binoculare”. A rendere ancor più esaustivo il significato fisiologico, leggiamo inoltre nel Lessico universale italiano (1978)nel paragrafo che ne spiega la fisiologia 

“[…] il complesso delle funzioni motorie e sensoriali quali si attuano nella visione binoculare e che permettono  di modificare a volontà l’orizzonte visivo, di mantenere nel campo visivo un oggetto  in movimento, di accertare la precisa origine di un rumore o la natura di un oggetto venuto in contatto col corpo. Nello sguardo si distinguono quattro modalità fondamentali di movimento: la fissazione di un punto che abbia destato l’attenzione; l’accompagnamento di un punto in movimento; lo spostamento della mira in una direzione qualsiasi dello spazio; la deviazione involontaria degli occhi in senso opposto a un movimento passivo del capo. A ciascuna di queste modalità corrisponde un meccanismo differente: mentre l’ultima modalità è sempre riflessa (vestibolare) e la terza è sempre volontaria, nelle altre due accanto a un intervento psichico esiste una componente retinica e pertanto esterocettiva. Gli impulsi che sostengono la funzione dello sguardo hanno la loro origine nell’occhio, nella corteccia visiva, in quella uditiva, nel midollo spinale, nel tronco dell’encefalo (vestibolare) e nelle cortecce motoria e premotoria; la zona di integrazione molto attendibilmente è situata nei corpi quadrigemini anteriori, così come sembrano suggerire recenti ricerche secondo cui i detti tubercoli, negli strati più profondi, conterrebbero la rappresentazione, le mappe sovrapposte, dei campi visivo, uditivo e somatico.”

Non è certo qui che si vuole approfondire l’aspetto fisiologico della visione e o dello sguardo, se ne cita solo rapidamente il funzionamento semplicemente per render conto della complessità del fenomeno e del fatto che gli occhi fungendo da finestra sul mondo non sono solo l’organo esterno ma il tramite con la parte interiore, declinabile nei vari modi: lo psichico, il mentale, lo spirituale dell’essere umano. 

Giuseppe Puntarello (©)