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Ai Brancacci quotidiani

Ogni mattina mi reco al lavoro, caparbiamente, tenacemente e irreversibilmente, in bici, indosso le cuffiette mp3 e attraverso il cuore nero di Brancaccio. Primo passaggio a livello chiuso. Sosta di pochi minuti. Scendo dalla bici. L’mp3 riproduce una colonna sonora random. Lo sguardo si muove lentamente, apparentemente indifferente. Osservo chi in macchina irrequieto e sguardo truce, chi col ciclomotore “truccato” smanioso di passare prepotentemente anche con la barra chiusa, chi ha aperto un’attività commerciale che durerà solo qualche giorno. La fila si allunga, la mia colonna sonora sovrastata dal rombo dei numerosissimi ciclomotori, alcuni smarmittati, altri con targhe manomesse. La mia espressione è certamente più cupa. Madri accompagnano figli, dal destino preformattato, a scuola, quella che lasceranno forse domani. Ecco il treno. Si alzano le sbarre. E’ un zigzagare incrociato di mezzi che sobbalzano, i più giovani sfrecciano. I caschi sono a casa poggiati. Riesco a stare inizialmente coi primi. Vantaggi della bici. Mi passano tutti. Gli auricolari sono soltanto una inutile extension e procedo in leggera salita verso Via San Ciro. L’attraversamento che più mi turba. Le case non nascondono. Per i bassi si intravede. Cani pisciano sulla soglia del vicino, cataste di legname in attesa del falò di S.Giuseppe, bici di picciuttieddi sbucano pericolosamente davanti a me. Mi ritengo fortunato. Procedo mi avvicino ai luoghi di Padre Puglisi. Una traversa ancora mi preoccupa prima di arrivare. E’ quella che spunta da Via Azzolino Hazon. Il palazzone grigio che si è visto in televisione su Anno zero. Noto alla cronaca cittadina perchè la metà o più dei suoi inquilini ha visto la fama crescergli per via dei fotoritratti sul Giornale di Sicilia. Passo accanto al Centro Padre Puglisi. Capisco che è un altro mondo forse più vicino al nostro. Ricordo poi spesso le parole di Rita Borsellino che ricorda le pietre scagliate dalle saracinesche contro il corteo che sfilava in ricordo di Padre Pino. E’ fatta. Poche pedalate e giungo. Mi rendo conto che non c’è mai serenità in questo attraversamento. La musica ritorna gradualmente a suonare nelle orecchie. Non ho più voglia di pensare. Vado a lavorare. quotidiani Ogni mattina mi reco al lavoro, caparbiamente, tenacemente e irreversibilmente, in bici, indosso le cuffiette Mp3 e attraverso il cuore nero di Brancaccio. Primo passaggio a livello chiuso. Sosta di pochi minuti. Scendo dalla bici. L’mp3 riproduce una colonna sonora random. Lo sguardo si muove lentamente, apparentemente indifferente. Osservo chi in macchina irrequieto e sguardo truce, chi col ciclomotore “truccato” smanioso di passare prepotentemente anche con la barra chiusa, chi ha aperto un’attività commerciale che durerà solo qualche giorno. La fila si allunga, la mia colonna sonora sovrastata dal rombo dei numerosissimi ciclomotori, alcuni smarmittati, altri con targhe manomesse. La mia espressione è certamente più cupa. Madri accompagnano figli, dal destino preformattato, a scuola, quella che lasceranno forse domani. Ecco il treno. Si alzano le sbarre. E’ un zigzagare incrociato di mezzi che sobbalzano, i più giovani sfrecciano. I caschi sono a casa poggiati. Riesco a stare inizialmente coi primi. Vantaggi della bici. Mi passano tutti. Gli auricolari sono soltanto una inutile extension e procedo in leggera salita verso Via San Ciro. L’attraversamento che più mi turba. Le case non nascondono. Per i bassi si intravede. Cani pisciano sulla soglia del vicino, cataste di legname in attesa del falò di S.Giuseppe, bici di picciuttieddi sbucano pericolosamente davanti a me. Mi ritengo fortunato. Procedo mi avvicino ai luoghi di Padre Puglisi. Una traversa ancora mi preoccupa prima di arrivare. E’ quella che spunta da Via Azzolino Hazon. Il palazzone grigio che si è visto in televisione su Anno zero. Noto alla cronaca cittadina perchè la metà o più dei suoi inquilini ha visto la fama crescergli per via dei fotoritratti sul Giornale di Sicilia. Passo accanto al Centro Padre Puglisi. Capisco che è un altro mondo forse più vicino al nostro. Ricordo poi spesso le parole di Rita Borsellino che ricorda le pietre scagliate dalle saracinesche contro il corteo che sfilava in ricordo di Padre Pino. E’ fatta. Poche pedalate e giungo. Mi rendo conto che non c’è mai serenità in questo attraversamento. La musica ritorna gradualmente a suonare nelle orecchie. Non ho più voglia di pensare. Vado a lavorare.