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Sulla riforma della scuola pensata da Berlinguer

Pubblicato su Il Mediterraneo del 14.04.98 con il titolo Un errore gravissimo contrapporre la scuola del sapere e alla scuola del fare.

Quello sulla riforma della scuola italiana, sembra essere diventato il dibattito più lungo della storia della repubblica. Se ci interroghiamo sui cambiamenti reali che si sono prodotti in questi ultimi cinquant’anni, resteremo delusi per l’esiguità di risultati che tali cambiamenti hanno introdotto: l’ora di religione, la scuola media dell’obbligo e qualche ritocco curricolare.

Lo stato di obsolescenza in cui versa la scuola italiana si è a questo punto cronicizzato. Lo sapevano già molto bene gli studenti del ‘68, che i rapidi processi di trasformazione della società non avevano riscontro nel sistema di formazione globalmente inteso. Quella stagione fu caratterizzata dall’ossessione politica tout court, ma si deve riconoscere che proprio intorno a quegli anni cominciò a proliferare l’immensa letteratura sulle questioni didattiche, pedagogiche, metodologiche etc. Risultato di quel perniciosissimo dibattito fu l’emergere di una tensione oscillante fra due atteggiamenti divergenti ed estremi: la negazione della scuola, istituzione depauperata e priva di ogni funzione formativa, e la scuola totale, luogo dove poter esprimere l’aspirazione collettiva ad una educazione permanente.

La forza vitalizzante di quella contestazione certamente fu positiva per l’ampliamento degli orizzonti culturali che riuscì ad inglobare nel dibattito sulla scuola e per la diffusa coscienza critica che si riuscì ad attivare.

L’insopportabile intermittenza con la quale la questione della riforma scolastica è stata ciclicamente riproposta è sufficientemente eloquente dell’urgenza e della centralità che tale questione ha di volta in volta avuto. La dilatazione temporale che l’ha accompagnata ha però prodotto nell’opinione pubblica quella sensazione confusa, che precede i cambiamenti strutturali della società, e una condizione di estraniamento e di alienazione nei soggetti che più dovrebbero essere coinvolti: genitori, insegnanti, studenti.

La questione perennemente sospesa che riguarda la riforma della scuola sembra essere arrivata ad una svolta. Le più importanti novità che introdurrebbe il nuovo progetto di riforma dei cicli scolastici, presentato dal Ministro Berlinguer e dai suoi 39 saggi, riguardano l’estensione dell’obbligo scolastico verso il basso, l’introduzione del triennio di orientamento, e la prospettiva “democratica” di un rapido avviamento alla professionalizzazione per chi non continuerà gli studi.

Con l’attuale documento di riordino dei cicli scolastici si vorrebbe cioè riammettere la centralità dell’istituzione scolastica, già sospesa da molto tempo, solo in relazione alla “ragione economica” che guida i processi di liberalizzazione selvaggia del mercato globalizzato. Sembra essersi ritirata nell’apparente progressismo democratico quella “ragione civile” che a partire dall’Illuminismo ha motivato la “pubblica istruzione”. La totale subordinazione della logica con la quale è stato impiantato il progetto di riforma alle esigenze dell’unica ragione dominante, quella delle politiche economiche, è dichiarato esplicitamente. Come se la società italiana e mondiale fosse soggetta ad una inarrestabile espansione economica. Alcune giuste singole questioni che riguardano l’ininterrotta apertura sperimentale, il potenziamento dello studio delle lingue straniere, l’introduzione delle nuove tecnologie informatiche, appaiono però appiattite dalla totale adesione alle logiche del mercato del lavoro: la flessibilità, la mobilità, la disponibilità alla riconversione professionale etc. Si parla inoltre di “rinuncia alla quantità eccessiva di nozioni” per far spazio ad una “qualità del sapere” che fornisca cioè “le capacità di apprendere, di scegliere, di cooperare, di risolvere i problemi.” Che le più importanti acquisizioni formative si facciano fuori della scuola è un dato ormai diffusamente accettato. Nell’epoca dell’infosfera, dell’ipertrofizzazione mediatica, chi penserà a costruire le strategie discorsive capaci di mettere in crisi i dati del reale? Quale agenzia formativa avrà tra i suoi obiettivi la formazione della coscienza critica che sappia arginare gli effetti pervasivi dei modelli culturali diffusi dai media? Dovrebbe essere proprio la scuola il luogo dove si rielaborano criticamente e creativamente i processi di analisi e di destrutturazione del reale. Ma una società che prevede la biforcazione dei percorsi di formazione e la divisione dei saperi dai fare, è una società destinata a produrre una minoranza che possiede il controllo dei dati concreti e una maggioranza subalterna. Questo pericolosamente apre prospettive democratiche fittizie. In questo progetto si tenta di mettere al bando il nozionismo quantitavo, e si dà spazio alla pluralità dei saperi e all’approfondimento specialistico, ma in quale orizzonte formativo è prevista l’acquisizione di una consapevole partecipazione critica al mondo in cui viviamo ? Non si può credere di modificare un sistema intervenendo su un singolo elemento.

Un progetto di riforma che riguarda la scuola nella sua totalità dovrebbe tenere in considerazione anche gli elementi concreti che fanno la scuola: l’organizzazione degli spazi e dei tempi della formazione.

La scuola si deve rivolgere alla totalità dell’orizzonte sociale, non può cioè privilegiare solo chi può permettersi gli spazi meglio attrezzati ed i tempi lunghi di formazione delle competenze maggiormente spendibili sul mercato del lavoro.